Il diritto all’oblio Google fa riferimento al diritto alla deindicizzazione di pagine che possono costituire un precedente pregiudizievole per la reputazione di una persona.
Se il GDPR tutela il diritto all’oblio delle persone fisiche, il diritto all’oblio Google può essere invocato anche per tutelare la brand reputation di un’azienda.
Il diritto ad essere dimenticati esiste da molto prima della nascita del canale di comunicazione del web. Se anni fa la reputazione poteva essere lesa dai giornali, che al limite entro pochi giorni finivano nella spazzatura, e le notizie si diffondevano comunque in zone circoscritte, oggi ci si trova nella situazione opposta: le notizie si diffondono in pochi attimi potenzialmente in tutto il mondo, sono di dominio pubblico, e, soprattutto, dal web non escono più.
Il diritto all’oblio nasce nei tribunali, e forse un tempo poteva bastare. Oggi è necessaria una tutela forte ed effettiva di questo diritto.
Ma, come vedremo, nonostante la materia oggi abbia una disciplina dedicata e specifica per il web, in realtà l’efficacia della tutela legale è piuttosto scarsa. Quindi un buon avvocato deve andare oltre le previsioni legislative per far valere il diritto ad essere dimenticati.
CONTENUTO DELL'ARTICOLO
- 1 Cos’è il diritto all’oblio
- 2 Web reputation e diritto all’oblio
- 3 Diritto all’oblio e Google: la giurisprudenza
- 4 Cos’è il diritto di deindicizzazione?
- 5 Quando può essere applicato il diritto all’oblio
- 6 Modulo Google diritto all’oblio
- 7 Limiti territoriali del diritto all’oblio Google
- 8 Il diritto all’oblio Google riceve davvero una tutela concreta?
- 9 Conclusioni diritto all’oblio
Cos’è il diritto all’oblio
Letteralmente il diritto all’oblio è il diritto a far sì che una notizia inerente alla propria persona venga “dimenticata”.
Quando si parla di diritto all’oblio si fa riferimento a quei contenuti che contengono informazioni attraverso cui si può risalire alla nostra identità. Quindi questi contenuti hanno al loro interno i nostri dati personali.
Come sappiamo i dati personali possono essere trattati solo se diamo il consenso o, in alternativa, se c’è una ragione prevalente rispetto al diritto alla privacy. In questo contesto la ragione prevalente è il diritto all’informazione.
Il diritto all’oblio si contrappone al diritto di cronaca, che da sempre è stabilito come prevalente. Il principio generale è che il diritto ad essere dimenticati, in merito ad una determinata notizia, può essere fatto valere solo nel momento in cui viene meno l’interesse pubblico alla notizia.
Prima ancora di essere disciplinato dalla legge, il diritto ad essere dimenticati, viene stabilito dalla giurisprudenza nei primi del ‘900, quindi nell’ambito di un panorama comunicativo completamente diverso da quello di oggi.
Web reputation e diritto all’oblio
L’importanza del diritto all’oblio va di pari passo con la rilevanza della web reputation.
Con la nascita del web e dei social network si può dire che ognuno di noi ha una vera e propria identità digitale.
La reputazione digitale spesso incide sull’attività professionale. Prima di tutto la web reputation deve essere ben gestita e tutelata in via preventiva, attraverso un buon servizio di moderazione nelle community, attraverso le social media policy e la previsione di un idoneo piano di crisi in caso di lesione della reputazione. Ma nel caso in cui la reputazione di una persona venga messa in discussione l’ultima arma da potersi giocare è quella offerta dal diritto all’oblio. Che subentra appunto, in via successiva e non più preventiva.
La difficoltà di mettere in pratica l’esercizio del diritto all’oblio è data non tanto dalla rimozione di un contenuto pubblicato, quanto dal fatto che questo non si può aver traccia di tutte le condivisioni del contenuto stesso. Se un contenuto diventa virale diventa impossibile tracciare tutti i link da rimuovere.
Anche in Italia il diritto all’oblio si afferma prima a livello giurisprudenziale.
Nel 2005 il Garante per la Privacy, si pronuncia in merito all’esercizio del diritto all’oblio per notizie apparse sul web:
Al diritto all’oblio, riconosciuto dal Codice in materia di protezione dei dati personali, si è appellato un operatore pubblicitario, che ha presentato ricorso al Garante chiedendo di disporre nei confronti di un ente pubblico gli opportuni accorgimenti per interrompere quella che riteneva una perpetua “gogna” elettronica. Il Garante (con una decisione adottata dal precedente collegio) gli ha dato in parte ragione e ha previsto che l’ente continui a divulgare sul proprio sito istituzionale le decisioni sanzionatorie riguardanti l’interessato e la sua società, ma – trascorso un congruo periodo di tempo – collochi quelle di vari anni or sono in una pagina del sito accessibile solo dall’indirizzo web. Tale pagina, ricercabile nel motore di ricerca interno al sito, dovrà essere esclusa, invece, dalla diretta reperibilità nel caso si consulti un comune motore di ricerca, anziché il sito stesso.
Con questa decisione si attribuisce al titolare del sito web la responsabilità di gestire le pagine web affinché non siano più visibili sul motore di ricerca, una volta che la notizia ha perso di rilevanza.
Diritto all’oblio e Google: la giurisprudenza
Invece si dovrà aspettare il 2014 per una sentenza della Corte di Giustizia Europea, che costringe Google a deindicizzare alcuni contenuti.
Per la prima volta si stabilisce che Google è titolare del trattamento dati.
Si fa riferimento a Google perché è il motore di ricerca ad oggi più utilizzato. Inoltre Google ha la specifica sezione news dedicata alle notizie.
È in questo frangente che la frizione fra diritto d’informazione e diritto ad essere dimenticati diventa più forte.
Il problema di Google, e internet in generale, rispetto al diritto all’oblio, è che se non si fa niente una notizia rimane nella memoria del web per sempre. Questa è una violazione del diritto all’oblio perché, terminata la finalità della notizia, viene meno la finalità di trattamento dei dati.
Il GDPR prevede che una volta che è terminata la finalità del trattamento, i dati vengano cancellati.
Google è tenuto a rispetto del GDPR perché è responsabile dei dati che vengono trattati attraverso il motore di ricerca.
Tuttavia la cancellazione dei dati non è automatica: c’è un apposito strumento per richiedere la deindicizzazione di una pagina.
Cos’è il diritto di deindicizzazione?
Il diritto alla deindicizzazione come mezzo per mettere in pratica l’esercizio del diritto all’oblio, viene sancito da una pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 2014, che stabilisce che, in quanto responsabile dei dati che circolano sui motori di ricerca, Google è tenuto a rimuovere quei contenuti per cui è cessata la finalità del trattamento. Vale a dire vanno rimossi i dati personali per il cui trattamento è cessata la finalità di interesse pubblico all’informazione.
Il diritto alla deindicizzazione è comunque in contrasto con il diritto di informazione, che è sempre prevalente: finché permane l’interesse a che la notizia sia di pubblico domino, il contenuto non può essere deindicizzato.
Come anticipato, una delle caratteristiche del web è che una volta che un articolo viene pubblicato, rimane sul web per sempre. Può finire in seconda, decima pagina della serp. Ma nel momento in cui sul motore di ricerca digiti il nome della persona nominata nell’articolo, ecco che sulla serp compare tutto ciò che la riguarda. Nel bene e nel male.
Visto che però dopo un certo periodo il diritto all’informazione scema fino a perdere rilevanza, l’interessato può chiedere a Google di deindicizzare l’articolo, facendolo scomparire dal motore di ricerca.
Ma attenzione il diritto alla deindicizzazione non è sinonimo di diritto alla cancellazione dei dati. Tant’è che dopo vari orientamenti e dubbi interpretativi c’è stata, poco tempo fa, la pronuncia del Garante che nega il diritto alla cancellazione dei dati dagli archivi dei giornali di news in virtù dell’utilità sociale e del valore storico degli articoli. Infatti gli archivi non sono aperti a chiunque ma solo dagli abbonati.
Quindi per garantire il diritto all’oblio non è necessario cancellare i dati. Questa pronuncia è la risposta al reclamo di un cittadino che dopo aver ottenuto la deindicizzazione del suo nome in relazione all’articolo di un quotidiano online, voleva l’ulteriore tutela della cancellazione dei dati, negata appunto dal Garante.
Quando può essere applicato il diritto all’oblio
Il diritto all’oblio può essere fatto valere solo dopo che sarà venuto meno il diritto all’informazione. Quindi senza dubbio il diritto di cronaca prevale rispetto al diritto all’oblio. Ma l’interesse all’informazione va scemando man mano che passa il tempo, fino a scomparire. é solo a questo punto che può essere fatto valere il diritto all’oblio.
Non c’è un parametro oggettivo di valutazione. Tendenzialmente una notizia diventa obsoleta dopo 2-5 anni, a seconda della rilevanza della notizia stessa.
Se invece parliamo di diritto all’oblio con riferimento al GDPR:
- in caso di dati acquisiti per finalità di marketing, il diritto all’oblio che si concretizza nella disiscrizione nei database, può essere fatto valere in qualunque momento senza particolari ragioni
- in caso di dati acquisiti per altre finalità, il titolare del trattamento deve cancellare quei dati senza che debba arrivare una richiesta da parte dell’interessato al trattamento.
Modulo Google diritto all’oblio
Il motore di ricerca ha una modulo apposito in cui segnalare il contenuto da rimuovere o deindicizzare.
Questo è il modulo generale di richiesta. Per ogni link di cui si chiede la deindicizzazione va inserita la motivazione. Poi ogni tool di Google, Youtube, Maps, ha un apposito modulo.
C’è da dire però che la procedura può richiedere molto tempo, fino a 2 anni, affinché Google valuti la richiesta. Questa è una delle ragioni per cui abbiamo detto subito che pur essendoci gli strumenti per far valere il diritto all’oblio, sono tutto fuorché efficaci.
Limiti territoriali del diritto all’oblio Google
La richiesta di deindicizzazione, oltre che essere molto lenta, ha comunque anche un’efficacia territoriale limitata.
Infatti se la pagina di cui si chiede la rimozione è stata pubblicata in più Paesi, fuori o dentro l’UE, la richiesta sarà limitata al Paese in cui si fa la domanda di deindicizzazione.
I diritti invocati sono territoriali, quindi la rimozione del contenuto sarà fatta nelle pagine locali del sito web.
Fa eccezione il diritto all’oblio, per cui la richiesta di deindicizzazione vale per tutti i Paesi dell’UE.
A tal proposito, vale la pena richiamare la sentenza della Corte di Giustizia Europea per la causa C-507/17, in cui chiarisce che non vi è alcun obbligo in capo a Google di applicare il diritto europeo all’oblio a livello globale:
mentre i residenti nell’UE godono del diritto legale all’oblio, esso trova applicazione esclusivamente all’interno dei confini del blocco degli Stati membri
Il diritto all’oblio Google riceve davvero una tutela concreta?
Google ci mette anni prima di cancellare un contenuto e respinge la maggior parte delle richieste.
Inoltre c’è un altro punto critico: in quale ambito territoriale Mr. G. è tenuto ad applicare la richiesta? Localmente, a livello europeo, o in tutte le parti del mondo in cui sono i suoi server?
A questa questione ha risposto di nuovo la Corte di Giustizia Europea, dando un’interpretazione semi restrittiva dell’obbligo. Quindi la deindicizzazione non deve essere fatta su tutte le estensioni del motore di ricerca, ma solo a livello europeo.
Conclusioni diritto all’oblio
La lesione della web reputation può portare grossi danni ad un professionista. Quindi è necessario agire il più in fretta possibile per far scomparire una notizia dal web.
Ci sono poi altri casi in cui è opportuno agire in fretta: pensiamo al revenge porn e al cyberbullismo. In questi casi solo la velocità di azione può assicurare una rimozione totale dei contenuti.
Qualora ci siano i presupposti legali per richiedere la rimozione del contenuto bisogna agire avendo a mente le tempistiche con cui si ottengono i risultati. Il nostro studio legale ormai conosce i tempi di Google, e siamo consapevoli che spesso la procedura di deindicizzazione o di rimozione ha tempi poco certi. Grazie alla nostra esperienza puoi far valere il diritto all’oblio con mezzi rapidi ed efficaci.
Infatti lo stesso titolare del sito web è obbligato al rispetto del diritto all’oblio, in qualità di titolare dei dati personali. Qualora venga meno la finalità del trattamento dei dati è tenuto alla cancellazione.
Quindi il primo step per avere una risposta rapida è chiedere al titolare del sito che ha pubblicato la notizia di deindicizzare il contenuto, mettendolo anche “nofollow” in attesa dell’azione di Google. In questa fase è fondamentale il supporto di uno studio legale specializzato in diritto di internet, perché l’avvocato esperto in web reputatiion ha gli strumenti adeguati per approcciarsi al titolare del trattamento ed eventualmente al web master.
Il nostro studio offre inoltre il servizio di monitoraggio del web volto a mantenere pulita la reputazione online del brand. Attraverso questo servizio si può chiedere la rimozione di foto, video, recensioni lesive della reputazione.